Il 4 settembre ricorre il 135° anniversario della nascita del marchio Kodak e della prima macchina fotografica a pellicola, come da brevetto n. 3888,850 depositato nello Stato di New York da George Eastman.
Un filo sottile collega questo anniversario alla nascita degli archivi Scala, fondati nel 1953 a Firenze, da settant’anni luogo di promozione e conservazione della fotografia a colori (con l’immancabile scala cromatica Kodak) e promotore della fruizione delle opere d’arte, a colori e per tutti.
Il 1888 è un anno fondamentale per lo sviluppo della fotografia come la conosciamo oggi. Il 4 settembre 1888 George Eastman registra il marchio Kodak e deposita il brevetto per la fotocamera Kodak No.1, la prima macchina fotografica a rullino.
Per capire l’innovazione che questa macchina fotografica ha comportato – così come il marchio Kodak stesso – bisogna pensare come, prima del 1888, venissero scattate e sviluppate le fotografie.
Il primo processo fotografico, la dagherrotipia – che prende il nome dal francese Louis Jacques Mandé Daguerre – venne presentato al pubblico nel 1839. Il dagherrotipo si otteneva applicando uno strato d’argento su una lastra di rame, che, tramite dei vapori di iodo, diventava fotosensibile. Esponendolo alla luce per una decina di minuti, e poi utilizzando dei vapori di mercurio, la zona precedentemente esposta alla luce assumeva una colorazione biancastra. Si ottenevano così deI primi esemplari di fotografia, velocemente rimpiazzati dalla nuova tecnica del collodio umido (1851).
La tecnica del collodio (sostanza di nitrocellulosa) umido consisteva nel ricoprire una lastra di vetro con la sostanza diluita in alcol ed etere, a cui venivano aggiunti ioduro di potassio e bromuro di cadmio. Veniva poi immersa in una sostanza di nitrato d’argento che la rendeva fotosensibile. La lastra doveva essere sviluppata, ancora umida, in una soluzione di solfato. Nacquero così i primi “negativi” fotografici, come li intendiamo oggi.
“Tutte queste operazioni dovevano essere compiute rapidamente, prima che il collodio si asciugasse e divenisse impermeabile alle soluzioni richieste dal procedimento. Perciò il fotografo non poteva essere troppo lontano da una camera oscura” annota Beaumont Newhall in “Storia della fotografia”.
Il passaggio successivo fu il procedimento alla gelatina e sali d’argento. Introdotto negli anni ‘70 dell’Ottocento (i cui i primi esperimenti si devono a Richard Lech Maddox) tale metodo fu il catalizzatore della diffusione a livello sociale della fotografia, determinando non solo la nascita di industrie fotografiche ma anche quella della cinematografia. Noto anche come “lastre secche”, aveva come vantaggio la conservabilità, poiché l’emulsione di gelatina e sali alcalini unita al nitrato d’argento si scoprì avesse la capacità di essiccarsi sul supporto scelto.
Fu così che George Eastman, appassionato di fotografia, nel 1879, sviluppò una macchina per rivestire lastre di vetro con la sostanza gelatinosa e, in un secondo momento, fondò la Eastman Film and Dry Plate Company, che verrà poi rinominata Eastman Kodak, facendo così nascere il marchio che conosciamo oggi.
Sono gli anni tra il 1881 e il 1888 in cui, dalla mente di George Eastman, prese vita il rullino fotografico. Sperimentò a lungo per creare dei rullini flessibili che potessero sostituire completamente le lastre. Brevettò in questi anni il primo rullino fotografico flessibile, a bobina, su cui basò il progetto della macchina fotografica Kodak No.1.
Guarda una selezione di dagherrotipi e prodotti fotografici ottenuti con tecniche precedenti alla nascita del rullino Kodak.
La fotografia, prima di George Eastman e della Kodak No.1, era un processo complicato, non fruibile ai più, che necessitava di capacità specifiche. Nasce così l’idea dell’imprenditore americano: aprire ad un pubblico amatoriale la pratica della fotografia, intercettando e stimolando il desiderio di coloro che non avevano la possibilità di studiare i processi e acquistare macchinari complessi di vedere la propria vita quotidiana ritratta. Il 1888 fu dunque un anno rivoluzionario per lo sviluppo della fotografia come la conosciamo oggi: un prodotto di massa, relativamente economico, intuitiva da utilizzare.
La rivoluzione di Eastman consisteva non solo nella creazione di una macchina fotografica compatta e dal semplice utilizzo – bastava schiacciare un tasto, come dice il famoso slogan – ma soprattutto nell’uso di una pellicola avvolgibile, sulla quale il materiale fotosensibile era cosparso su carta, che riusciva quindi ad eliminare l’uso di lastre di metallo o vetro, velocizzando il processo fotografico. È questo l’avvento delle fotocamere a pellicola.
La Kodak No. 1 costava 25 dollari, ed era precaricata con un rullino con 100 potenziali scatti. Era possibile spedire i negativi, per 10 dollari, a Rochester (New York) per essere sviluppati. L’azienda avrebbe rimandato indietro la fotocamera caricata con un nuovo rullino, i negativi, e le fotografie sviluppate. Le pubblicità Kodak del 1888 affermavano anche che qualsiasi amatore poteva “finire i propri scatti”, svilupparli autonomamente, e, se necessario, i rotoli di pellicola di ricambio venivano venduti a 2 dollari l’uno.
Liberando così il fotografo dal complicato e costoso processo di sviluppo della pellicola, la fotografia diventa più accessibile che mai. Nel catturare momenti e ricordi quotidiani, le istantanee circolari distintive della Kodak (inizialmente circolari per evitare la perdita di definizione agli angoli), hanno definito un nuovo stile di fotografia: informale, personale e divertente.
Lo slogan “You Press the Button, We Do the Rest” divenne popolare. Le campagne pubblicitarie coinvolsero per la prima volta un pubblico nuovo: donne e bambini. La stessa parola Kodak divenne in uso nel linguaggio comune: kodaking, kodakers, kodakery.
L’entusiasmo per il prodotto e per l’azienda fecero sì che Kodak fosse capace di dominare il mercato fino agli anni 2000 e al conseguente avvento della fotografia digitale.
Guarda una selezione di immagini dai nostri archivi dedicata a materiali pubblicitari e relativi alla Kodak.
La sperimentazione per ottenere fotografie a colori iniziò già a fine XIX secolo, utilizzando soprattutto filtri a separazione di colore. Uno dei primi successi fu l’Autochrome dei fratelli Lumière: procedimento di fotografia basato sulla sintesi additiva, che consisteva nell’applicare ad una lastra di vetro una soluzione di fecola di patate tinta di rosso, verde e blu, a cui veniva aggiunto un sottile strato di emulsione fotosensibile. Tale processo produceva un’immagine in negativo che, una volta invertita, poteva essere proiettata.
Kodak iniziò la ricerca sull’immagini a colori nei suoi laboratori già nel 1910 sperimentando una serie di processi, ma nessuno di questi si dimostrò pienamente soddisfacente fino agli anni ‘30.
Kodachrome (la prima pellicola a colori) nasce da due uomini chiamati Leopold: Godowsky Jr. e Mannes, musicisti scienziati che lavoravano presso la struttura di Kodak a Rochester. Passarono anni a perfezionare la loro tecnica, che risultò per la prima volta nel 1935 in pellicole da 16 mm chiamate Kodachrome – in cui tre emulsioni, ciascuna sensibile a un colore primario, erano rivestite su una singola base di pellicola –.
“La pellicola stessa è fondamentalmente in bianco e nero”
Mentre tutte le pellicole a colori avevano coloranti stampati direttamente sul materiale cinematografico, il colorante di Kodachrome non vieniva aggiunto fino al processo di sviluppo. Per 20 anni dunque, chiunque volesse sviluppare pellicole Kodachrome doveva inviarle a un laboratorio Kodak, che controllava tutte le lavorazioni.
La sua relativa facilità d’uso ha reso la pellicola Kodak dominante sia fra i professionisti che fra i dilettanti per la maggior parte del XX secolo. Con Kodachrome vennero documentati alcuni fra i più importanti eventi: una versione a colori dell’esplosione dell’Hindenburg nel 1936 venne scattata con Kodachrome, nel 1953 fu utilizzata da Edmund Hillary in cima del Monte Everest; Abraham Zapruder catturò l’assassinio del presidente Kennedy con una pellicola Kodachrome 8-mm a Dallas. Kodak permise alle riviste femminili e ai rotocalchi di vedere un mondo a colori.
Dopo gli anni 2000, a causa della fotografia digitale, la richiesta generale di pellicole è diminuita notevolmente e il Kodachrome è definitivamente uscita di produzione dal 2009.
Ma, prima del suo declino, Kodachrome è stato per anni un iconico e rivoluzionario strumento per fotografi e dilettanti di tutto il mondo. Per capire l’impatto che la pellicola Kodachrome ha avuto sul microcosmo della fotografia possono essere fatti alcuni esempi. Come fu Gisèle Freund, una delle pioniere della fotografia a colori: la fotogiornalista e ritrattista scattò alcune delle sue più importanti opere con un rullino Kodachrome. Senza nessun insegnamento scolastico Freund intraprese la nuova corrente di fotografia a colori e la fece sua: fra le più importanti persone fotografate troviamo Frida Kahlo, Sylvia Beach e Henri Matisse, alcuni dei personaggi più influenti del tempo.
Guarda una selezione di scatti di Gisele Freund, autrice di importanti reportage a colori del Novecento, di cui Scala è lieta di rappresentare il copyright di questa fotografa tramite RMN in Italia e UK.
E per sottolineare l’influenza che Kodachrome ha avuto sulla fotografia, possiamo notare come l’onore e l’onere di utilizzare l’ultima pellicola Kodakchrome prodotta – The Last Roll of Kodachrome – sia stato dato a Steve McCurry, fotografo statunitense, autore della fotografia “Ragazza Afgana”. L’iconica foto della più celebre copertina del periodico National Geographic venne difatti scattata con una pellicola Kodachrome nel 1984.
E così, con 36 scatti, McCurry chiude un ciclo durato quasi un secolo: quello della prima pellicola a colori.
SCALA Istituto Fotografico Editoriale nasce a Firenze nel 1953, fondato da due giovani studenti di storia dell’arte con la passione per la fotografia, John Clark e Mario Ronchetti, incoraggiati e sostenuti dal loro celebre professore Roberto Longhi. L’idea innovativa di Longhi fu quella di fotografare professionalmente le opere d’arte, inclusa l’architettura, per la prima volta a colori, e mettere tali immagini a disposizione del mondo editoriale per favorire lo studio delle opere d’arte.Poco dopo alla fotografia a colori di alta qualità Scala aggiunse anche testi di eminenti storici dell’arte e pubblicò una serie di monografie d’artista in varie lingue. Nacque così SCALA – Istituto Fotografico Editoriale.
All’epoca le trasparenze non erano stabili e furono adottati diversi metodi per tenere traccia di possibili alterazioni cromatiche delle riprese fotografiche. Tra questi il metodo più diffuso era l’impiego delle scale colore e delle scale di grigio – le Kodak Color Control Patches – che venivano affiancate all’opera da fotografare e formavano una guida cromatica standardizzata di riferimento per valutare le variazioni dei colori nel tempo. Ancora oggi, quando vengono rilevate variazioni, i tecnici del laboratorio fotografico interno di SCALA ripristinano abilmente lucidi e pellicole. Il laboratorio di Scala è ancora oggi considerato tra i più prestigiosi per la gestione dei fotocolor.
La scelta del nome dell’azienda – SCALA – è in riferimento a questa sistematica adozione della scala cromatica.
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In copertina:
Stampa fotografica, pubblicità Kodak Film, e gli sviluppatori, Heppells Ltd. – E264516