19 Maggio 2023

600 frammenti e una fotografia. Il restauro dei “Giocatori di carte” di Bartolomeo Manfredi

A trent’anni dalla strage dei Georgofili, ordinata dall’organizzazione criminale di Cosa Nostra, ricordiamo questo cupo anniversario che scosse Firenze e l’Italia, con una storia di rinascita.

A trent’anni dalla strage dei Georgofili, ordinata dall’organizzazione criminale di Cosa Nostra, ricordiamo questo cupo anniversario che scosse Firenze e l’Italia, con una storia di rinascita. Nel 2018, grazie anche al contributo fotografico dell’Archivio SCALA, i 600 frammenti dell’opera di Bartolomeo Manfredi i “Giocatori di carte” vennero riassemblati e l’opera restituita alla collettività.

Trenta anni fa, la strage dei Georgofili

Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, alle ore 1.04, Firenze venne scossa da un fragore. Un’autobomba deflagrò nel centro storico, in via dei Georgofili. Le vittime furono 5, i feriti 48, molti gli sfollati. Tra gli edifici colpiti Palazzo Vecchio, la Chiesa di S. Stefano, la Torre dei Pulci (sede dell’accademia dei Georgofili), il Museo della Storia della scienza e della tecnica, la Galleria degli Uffizi e il Corridoio Vasariano. Le indagini vengono avviate rapidamente, si ipotizzò che i mandanti fossero i vertici di Cosa Nostra, e che l’episodio fosse collegato alle bombe di Roma e Milano di luglio 1993.

La strage dei Georgofili lasciò ferito anche il patrimonio storico-artistico di Firenze. Restano danneggiate, la maggior parte in modo lieve, il 25% delle opere esposte presso la Galleria degli Uffizi. Tra quelle più danneggiate c’è la coppia di olii del pittore caravaggesco Bartolomeo Manfredi: “Il Concerto” e  i “Giocatori di carte” (1617-1618). Quest’ultima tela viene dilaniata e si pensò addirittura distrutta per sempre. 

Vediamo insieme a Daniela Lippi, restauratrice grazie al cui impegno nel 2018 l’opera è tornata presso il Museo, una testimonianza di rinascita e di speranza nonché di memoria dell’atto criminoso. Ricordiamo anche che il restauro è stato reso possibile grazie alla raccolta fondi “Cultura contro terrore”, promossa nel giugno 2017 dal Corriere Fiorentino, Gallerie degli Uffizi e Ubi Banca. 

Il restauro dei “Giocatori di carte” di Bartolomeo Manfredi. Intervista a Daniela Lippi.

I giocatori di carte di Bartolomeo Manfredi, il quadro squarciato della galleria deli uffizi dalla bomba dei giorgofili
Bartolomeo Manfredi, Giocatori di carte, Galleria degli Uffizi, Firenze, Italia – Prima dell’attentato di Georgofili

Il mestiere del restauratore conservatore è complesso, a cavallo tra la storia dell’arte, il fare artistico, la tecnologia. Come sei arrivata al mondo del restauro? Come si è modificato il lavoro in questi decenni anche grazie a internet e alle nuove tecnologie diagnostiche?

Ho sempre amato disegnare e copiare fin dalla scuola elementare. Mi sono poi diplomata al liceo artistico di Firenze, quando era ancora in via Cavour. Al momento del diploma però capii che la carriera artistica non mi si confaceva e il pensiero andò verso il mondo del restauro. Era il 1987 e la scuola dell’Opificio delle Pietre Dure (OPD) era chiusa per un riordino interno. Per fortuna scoprii il corso di “aiuto restauro dipinti” presso il Centro Formazione Professionale delle Regione Toscana, ideato e diretto da Alessandro Conti, studioso di fama internazionale, che aveva la ferma convinzione della necessità di una seria politica di manutenzione delle opere d’arte, anche con la programmazione di minimi interventi mirati alla corretta conservazione. Ho cominciato da lì, avevo 19 anni. Nel 1993 riaprì la scuola dell’OPD, tentai, ma eravamo circa 500 candidati per soli 3 posti. Nel frattempo, dopo un paio di anni di pratica, avevo cominciato a lavorare seriamente presso ditte di fiducia della Soprintendenza, mentre oggi ho un mio laboratorio.

Come altri mestieri, il restauro è un campo dove non ci si può (o non ci si deve) sentire arrivati. L’opera d’arte è un unicum e come tale deve essere trattata: in base alla sua tecnica di realizzazione, alle condizioni conservative ed espositive e alle sue problematiche (intrinseche o dovute a cause esterne).  Materiali e metodi di intervento sono in continua evoluzione, corsi di aggiornamento si susseguono ogni anno, sia riguardo al minor impatto ambientale che, soprattutto, alla salute dell’operatore. In campo scientifico l’evoluzione mira alla selezione e al riconoscimento del materiale da rimuovere, strato per strato, così da operare in modo selettivo e con estremo riguardo rispetto alla superficie pittorica e la sua complessa stratificazione. Un dipinto su supporto mobile in genere si tende a considerarlo bidimensionale mentre in realtà è composto da micro stratificazioni tridimensionali che interagiscono fra loro: il supporto in tela o legno, la preparazione stesa su di esso e destinata a raccogliere la pittura, lo stile della quale cambia in funzione anche della trasformazione sociale dell’arte e dell’evoluzione tecnologica (dalla pittura a tempera d’uovo, all’olio, all’acrilico etc). La tecnica pittorica cambia nel corso dei secoli ed è importante conoscerne i dettagli. Il restauratore dunque cerca di penetrare dentro questi materiali e il modo in cui venivano usati all’epoca corrispondente alla genesi dell’opera d’arte. Le indagini diagnostiche di tipo non distruttivo, oltre alle caratteristiche esecutive, forniscono molte informazioni utili alla programmazione di un intervento il più possibile mirato.

Particolare dell'opera di restauro dell'opera degli uffizi distrutta durante l'attentato dei georgofili
12 aprile 2018 – durante la ricucitura vera e propria propedeutica all’applicazione del nuovo supporto – Courtesy Daniela Lippi
Particolari del restauro dell'opera i giocatori di carte di Bartolomeo Manfredi
17 aprile 2018 – durante la ricucitura vera e propria propedeutica all’applicazione del nuovo supporto – Courtesy Daniela Lippi

Il “Giocatori di carte” di Bartolomeo Manfredi è il simbolo della strage dei Georgofili. Squarciato dall’esplosione, fu ricostruito a distanza di 25 anni come un puzzle. Qual è la storia conservativa di quest’opera e come si è arrivati al suo restauro? Sarebbe stato pensabile con le risorse tecniche e tecnologiche degli anni Novanta?

Il dipinto “Giocatori di carte” fa pendant con “Il Concerto” e, insieme, furono omaggio di Ferdinando II de Medici alla moglie Maria Maddalena d’Austria per il capodanno del 1626. Infatti il dipinto, oltre ad altri numeri di catalogazioni successive, riporta, in colore rosso, il numero 1359 dell’inventario del Poggio Imperiale del 1695. Il cartaceo dell’inventario riporta la seguente descrizione:

«(…) 4 quadri in tela alti bracci 2 e 2/3 larghi 3 e ½ dipintovi di mano del Caravaggio,

 in uno sei uomini che alcuni giocano alle carte, in uno alcuni che suonano un concerto, fra i quali

un cornetto e uno la cetra (…)»  (Cfr. Scheda n°8 in Caravaggio e i caravaggeschi nelle Gallerie di Firenze, catalogo della mostra a cura di Evelina. Borea, Sansoni, Firenze, 1970.)

Il quadro fu ritrovato nei depositi di Palazzo Pitti nel 1969 e fu sottoposto a restauro insieme a tutti gli altri dipinti dei caravaggeschi per la mostra del 1970 Caravaggio e i caravaggeschi nelle Gallerie di Firenze curata da Evelina Borea. Proprio all’interno del catalogo di tale mostra si può reperire descrizione dello stato di conservazione di tutte le opere esposte che, per l’occasione, furono sottoposte a restauro a cura del Gabinetto dei Restauri della Soprintendenza Belle Arti di Firenze.

 I “Giocatori di carte”, assieme alle altre opere di Bartolomeo Manfredi, venne poi ricollocato all’interno della Galleria degli Uffizi, nell’allestimento del corridoio Vasariano del 1973 curato da Luciano Berti, nella sala dei caravaggeschi e davanti a quella stessa finestra, che si affaccia su via dei Georgofili, dove lo ha colto la bomba mafiosa.

Subito dopo l’attentato, la Galleria degli Uffizi, per il tramite del lavoro di Anna Maria Petrioli Tofani (direttrice dal 1987 al 2005) fu sostenuta fortemente dal Governo per la ricostruzione e i restauri, in modo che arrivasse un segnale immediato di rinascita all’affronto subito. Furono eseguiti i lavori su un grandissimo numero di opere, eccetto due che vennero considerate irrecuperabili: i “Giocatori di carte” di Bartolomeo Manfredi e l’ “Adorazione dei pastori” di Gerard Van Honthorst (Gherardo delle Notti). L’“Adorazione dei pastori” venne restaurata nel 2003 da Lucia Dori a dieci anni dall’attentato, mentre soltanto nel 2014 i Giocatori di carte hanno iniziato un percorso di progettazione del restauro: mi trovavo ai depositi della Galleria per un sopralluogo quando mi sono imbattuta nell’opera e in quel che ne restava. L’opera velinata sul telaio era stata messa nella sala d’ingresso e sul tavolo era deposta la busta contenente tutti i frammenti raccolti da terra tra i quali campeggiava il frammento con le carte da gioco. In qualche modo l’elemento di identificazione del soggetto rappresentato era sopravvissuto, ma rimanendo in quella busta, i frammenti di tela dipinta sarebbero diventati polvere. Ho pensato che attraverso il mio lavoro avrei potuto contribuire, in piccola parte, a salvare una testimonianza di quell’evento drammatico. Approfittando della possibilità di partecipazione al Premio Friends of Florence presso il Salone del restauro di Firenze, chiesi e ottenni l’autorizzazione all’elaborazione del progetto da parte di Antonio Natali, direttore della Galleria dal 2006 al 2016, e con il sostegno di Francesca de Luca allora direttrice del dipartimento relativo. Il progetto si è poi concretizzato con il Crowdfunding lanciato dal Corriere Fiorentino e dalle Gallerie degli Uffizi direttore Schmidt e con UBI Banca nel 2017/2018.

Il tavolo di lavoro con la catalogazione dei frammenti su fogli A4 di Daniela Lippi che restaurò l'opera distrutta nell'attentato dei Georgofili
25 novembre 2017 – tavolo di lavoro con la catalogazione dei frammenti su fogli A4 – Courtesy Daniela Lippi

Tutta la documentazione fotografica esistente è stata fonte di informazioni sull’aspetto dell’opera: al Gabinetto fotografico degli Uffizi tutto il materiale era in bianco e nero con stampa e negativo intero, e documentava l’opera dopo il restauro del 1970 e velinata dopo l’attentato; nell’archivio dell’Opificio delle Pietre Dure, che custodisce le schede dei restauri dal 1900 ad oggi, erano conservati dei fotocolor di particolari scattati durante le fasi di pulitura e stuccatura sempre relativi al restauro del 1970. Ma poi ho trovato in rete la vostra immagine a colori, scatto risalente al 1988, guadagnando dunque 18 anni! Per osservarne lo stato di conservazione ma soprattutto i dettagli dei soggetti dipinti, come la manica riccamente decorata del giocatore che scommette.

Avere i colori di riferimento è stato fondamentale per ottenere una immediata suddivisione dei frammenti e per poterli ricollocare esattamente, pur nella difficoltà dei molti colori scuri non perfettamente distinguibili nei toni. Ulteriori fattori hanno giocato un ruolo importante nella fase di ricerca della giusta posizione dei frammenti, tra i quali l’evidenza del cretto di invecchiamento che è considerato una sorta di impronta digitale di ogni campitura. E con il lavoro su programmi di fotoritocco eseguito da Emiliano Vatteroni (amico esperto di grafica digitale, nonché la prima persona che interpellai nel 2014 prima di proporre il progetto alla direzione degli Uffizi) è stato possibile sovrapporre in scala i singoli frammenti al reticolo di crettatura evidenziato dall’illuminazione utilizzata al tempo del fotocolor SCALA.

All’inizio pensavamo di fotografare uno per uno i singoli frammenti, poi, data la loro dimensione medio piccola, capimmo che sarebbe stato possibile scansionare i frammenti posizionati su un foglio A4 e catalogati con codice alfa-numerico. Per ridurre l’area di ricerca abbiamo sovrapposto la foto Scala con quella di ciò che era rimasto sul telaio, l’immagine così ottenuta è diventata il piano di lavoro per la ricollocazione effettiva. Con la scheda di restauro è stata consegnata anche la mappa digitale della ricomposizione eseguita. Il conto finale enumera 615 frammenti catalogati, dei quali non hanno trovato posizione quasi duecento frammenti perché troppo piccoli e impossibili da pulire e trattare come gli altri, pena la loro distruzione. Questi sono stati incollati su due pannelli e posti dentro una cartella appositamente realizzata che è stata posizionata sul retro del dipinto ancorandola alla cornice. In futuro potrebbero essere usati per analizzare ulteriormente la pittura di Manfredi. Tengo qui a dire che per le fasi progettuali e operative nella realizzazione del nuovo supporto, non sarebbero state possibili senza la dinamica collaborazione del collega Lorenzo Conti e la preziosa consulenza di Luciano Sostegni, uno dei più famosi restauratori fiorentini esperto sui supporti tessili.

Nel caso dei “Giocatori di carte”, con la materia pittorica lacerata dagli effetti dell’esplosione, è stato possibile eseguire un gran numero di campionamenti stratigrafici, sottoposti a microscopia ottica in luce visibile e in luce ultravioletta e analisi al microscopio a scansione elettronica, che hanno rivelato la composizione elementale dei vari strati. Caso eccezionale, poiché le indagini di tipo distruttivo sono generalmente le ultime ad essere considerate e solo se le altre tipologie di indagine non distruttive non chiariscono certe informazioni. Questo lavoro fu eseguito da Susanna Bracci con Donata Magrini del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Susanna oggi non c’è più, ma si appassionò tantissimo a questo lavoro sui Giocatori, anche lei sentiva la forza sociale e di memoria che un recupero del genere comportava. L’ opera così recuperata non è più integra ma è diventata un documento, memoria e monito di quel terribile affronto.

Naturalmente la tecnologia così ampiamente diffusa oggi, ha giocato un ruolo fondamentale nel nostro restauro, ruolo che non era disponibile negli anni immediatamente successivi all’attentato. Infatti il restauro del Concerto fu realizzato tra il 1994 e il 1995, e le restauratrici Freschi e Mac Gregor utilizzarono la foto esistente al Gabinetto Fotografico degli Uffizi, stampata a dimensione reale per poter ricomporre correttamente i frammenti staccati, in quel caso di dimensione più grande rispetto a quelli dei Giocatori.

Le fotografie d’archivio sono elementi fondamentali e preziosi in ogni caso, perché “fermano” in una istantanea il momento conservativo, e soprattutto, si rivelano insostituibili quando le opere subiscono traumi catastrofici come quello di Firenze o i vari terremoti che hanno danneggiato gran parte del patrimonio culturale territoriale (da Assisi agli eventi più recenti di Abruzzo, Marche e Umbria).

Sovrapposizione dei due momenti conservativi, cioè la foto Scala 1988 e la foto dell’opera nel settembre
2017 dopo la rimozione delle veline di protezione apposte nel 1993
Sovrapposizione dei due momenti conservativi, cioè la foto Scala 1988 e la foto dell’opera nel settembre
2017 dopo la rimozione delle veline di protezione apposte nel 1993 (Emiliano Vatteroni) – courtesy Daniela Lippi
Immagine da elaborazione grafica con frammenti ricollocati al 30 ottobre 2017 dell'opera i Giocatori di Carte distrutta durante l'attentato dei Georgofili
Immagine da elaborazione grafica con frammenti ricollocati al 30 ottobre 2017 (Emiliano Vatteroni) – courtesy Daniela Lippi
Immagine da elaborazione grafica finale, con tutti i frammenti ricollocati al 25 gennaio 2018 dell'opera i Giocatori di carte distrutta durante l'attentato dei Georgofili
Immagine da elaborazione grafica finale, con tutti i frammenti ricollocati al 25 gennaio 2018 (Emiliano Vatteroni) – courtesy Daniela Lippi
Particolare del mazziere e dello scommettitore, il cui sguardo appare come ulteriore fulcro di quel che resta del soggetto rappresentato dell'opera i Giocatori di carte distrutta durante l'attentato dei Georgofili
Particolare del mazziere e dello scommettitore, il cui sguardo appare come ulteriore fulcro di quel che resta del soggetto rappresentato – courtesy Daniela Lippi

L’Archivio SCALA come fonte unica per il restauro dei beni culturali italiani. Come sei arrivata al nostro archivio e come potrebbe essere ulteriormente utilizzato per la documentazione dei beni e le attività di restauro?

Visto tutto ciò che ho raccontato è evidente l’importanza storica e documentale di tali fotografie.

Con l’avvento degli strumenti informatici a così larga e diffusa disposizione, le ricerche storiche sono molto più rapide, indirizzando immediatamente alla giusta area di ricerca specifica. Forse restano ancora molti archivi cartacei che necessiterebbero di digitalizzazione, sia per la loro fruizione ma soprattutto per la loro duplicazione e conservazione futura. 

I frammenti riuniti sul nuovo supporto  durante l'intonazione cromatica della grande lacuna stuccata  dell'opera i Giocatori di carte distrutta durante l'attentato dei Georgofili
I frammenti riuniti sul nuovo supporto  durante l’intonazione cromatica della grande lacuna stuccata (Ottaviano Caruso) – courtesy Daniela Lippi

Ti vengono in mente altri casi di restauri recenti in cui gli archivi fotografici disponibili online sono stati una fonte preziosa per le indagini preliminari e per le scelte di intervento?

I restauratori sono affamati di fonti che illustrino lo stato di conservazione delle opere in restauro. Sia fonti di archivio scritto che di immagini. Giusto lo scorso anno, per il restauro di un’opera di Benozzo Gozzoli, è stato fondamentale il ritrovamento on line di due immagini della Fototeca Zeri che mostravano l’opera a inizi Novecento, quasi completamente ridipinta, e attraverso l’incrocio con fonti documentali di metà Ottocento si è potuto desumere approssimativamente la data della ridipintura. Quest’ultima però in un restauro successivo era stata rimossa, lasciando sulla superficie tracce di materia che così abbiamo potuto identificare e documentare.

L’Archivio SCALA, tra memoria e ricerca scientifica

L’Archivio SCALA si è reso partecipe di questo miracolo della conservazione. Come ha ricordato Daniela Lippi, grazie alla digitalizzazione e accessibilità dell’archivio in rete, il reperimento dello scatto fotografico 1:1 dell’opera è stato un tassello fondamentale per la ricostruzione del puzzle. 

Circa 70 anni dopo la sua nascita come SCALA – Istituto Fotografico Editoriale, l’intuizione di John Clark e Mario Ronchetti, sostenuti e incoraggiati dal celebre storico dell’arte Roberto Longhi, è stata confermata. Infatti, fotografare a colori con la massima cura al mantenimento della fedeltà dei colori nel tempo e la massima attenzione a catturare anche i dettagli, ha dato non solo a studiosi dell’epoca fotocolor di altissima qualità da poter utilizzare, ma ha preservato e destinato ai posteri la conservazione fedele delle opere d’arte.

La seconda guerra mondiale, lo stimolo di uno studio storico-artistico basato anche sul colore (oltre che sulla linea e il disegno), il progresso tecnico delle pellicole permisero negli anni Cinquanta di avviare un’attività basata non più sulla fotografia di opere d’arte in bianco e nero, bensì a colori. Il nome dell’archivio Scala deriva proprio dalla pratica di apporre a fianco delle opere riprodotta quella scala cromatica (Kodak Color Control Patches) in grado di monitorare nel tempo le variazioni dei colori della pellicola nel tempo. Scala colore che ancora oggi Scala utilizza nelle campagne fotografiche, e che i tecnici di laboratorio Scala sono in grado di gestire per ripristinare fotocolor e pellicole. 

La continua interazione dell’archivio SCALA con storici dell’arte e tecnici-conservatori del patrimonio artistico italiano, definisce parallelamente alla vocazione commerciale quella di “magazzino del sapere collettivo” e pone Scala al pari di altre istituzioni pubbliche, capaci di conservare e rendere accessibile il proprio contenuto.

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In copertina: 25 novembre 2017 – tavolo di lavoro con la catalogazione dei frammenti su fogli A4 – Courtesy Daniela Lippi

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